The Railway Crossing – Mystery Short Story – Close To The Bone Publishing (UK) – Viviana De Cecco – (Prossimamente)

Sono molto contenta che al gentile editor Craig Douglas sia piaciuto il mio breve racconto giallo. Verrà pubblicato nei prossimi mesi sul suo bel sito della casa editrice inglese. Ma lo pubblico già in italiano. L’avevo scritto qualche anno fa e adesso sto traducendo i vecchi racconti perchè tanto la letteratura non ha scadenza.

Link del sito generale: https://www.close2thebone.co.uk/wp/

“È qui che l’hanno trovata,” disse Alice, quando suo marito si fermò al passaggio a livello.

Nella nebbia, il semaforo che si ergeva sopra la sbarra abbassata pareva fissarli con il suo occhio di sangue. Era una giornata d’inverno come le altre. Il treno che non si vedeva, la strada deserta alla periferia del paese e loro due costretti ad aspettare in auto a pochi metri dalle rotaie.

“Mhmm?” mugugnò John senza neppure voltarsi. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, senza prestarle la minima attenzione, come accadeva ormai da mesi. Erano sposati da tre anni, ma a lei sembravano cento. Erano diventati una di quelle coppie imprigionate nella routine, nei gesti sempre uguali, nelle frasi banali di una vita normale. Benché John non glielo dicesse apertamente, Alice sapeva che la considerava noiosa e prevedibile. Ogni mattina si svegliavano nel letto, distanti e silenziosi. Si facevano la doccia, bevevano al volo un caffè e si infilavano in auto per andare in città. Per risparmiare benzina, spesso lui la accompagnava fin sotto l’ufficio. Altre volte, quando John aveva il turno notturno in ospedale, lei prendeva lo stesso treno che presto sarebbe passato lì davanti. Lei lavorava come arredatrice, John ambiva a diventare primario di cardiologia entro due anni.

Anche quel giorno, erano seduti l’uno accanto all’altra con la sensazione di essere due estranei che si erano incontrati per caso durante un autostop.

“Non ti ricordi? Ti ho fatto leggere l’articolo due settimane fa. La ragazza che hanno trovato uccisa sui binari,” proseguì Alice. Non aveva pronunciato la parola “cadavere”, perché ogni volta che ci pensava le si stringeva lo stomaco.

Quando aveva visto la foto sul quotidiano locale, aveva provato un senso di soffocamento. Era bella quella ragazza. Aveva solo diciott’anni. Bionda, occhi azzurri, sorriso dolce e innocente.  L’aveva sognata ogni notte. L’aveva immaginata stesa su quelle rotaie, con il sangue a deturparle il volto, gli occhi ormai chiusi e le labbra dischiuse nell’inutile tentativo di gridare.

Ricordava quasi a memoria quell’articolo. L’aveva letto e riletto decine di volte. Millicent Andrews era stata brutalmente picchiata, strangolata e gettata inerte in quell’angolo sperduto alla periferia del paese, dove nessun occhio indiscreto avrebbe potuto disturbare il suo assassino. Alice si guardò intorno. Doveva ammettere che, prima di allora, non ci aveva mai fatto caso, ma quello era davvero il posto ideale per un omicidio. Dalle poche case raggruppate al di là degli alberi che delimitavano la strada, sarebbe stato impossibile notare qualcosa.

“Mi sa che anche oggi il treno è in ritardo. Te l’ho detto che avremmo dovuto cambiare strada,” si lamentò irritato suo marito, ignorando come sempre il suo discorso.

“Questa è sempre stata la più veloce e la più breve,” replicò lei, in tono calmo.

“Maledetta nebbia, non si vede un accidente! Credi che il treno stia per arrivare?” proseguì lui, con la sua insulsa litania, allungando il collo per lanciare un’occhiata oltre il parabrezza. Era una specie di tortura doverlo ascoltare.

Alice posò le dita sulla maniglia dello sportello.

Vattene da qui, prima che sia troppo tardi. Una vocina nella sua testa le gridava di fuggire, di infilarsi fra gli alberi ai lati della strada e svanire nel nulla. Ma ormai gli ingranaggi del suo destino si erano messi in moto e non poteva tornare indietro.

In quel preciso istante, nel silenzio esplose il rombo di un motore che sembrava in accelerazione.

“Ma che cazzo fa quell’idiota?” sbottò John, guardando nello specchietto retrovisore la grossa jeep nera che era comparsa dal fondo della strada. Alice spalancò gli occhi, ma non fece in tempo a voltarsi.

La jeep li colpì in pieno. Lei si lasciò andare, senza opporre resistenza. Il contraccolpo la fece sobbalzare avanti e indietro come una bambola inanimata. Avvertì il dolore della cintura di sicurezza che le si conficcava nella clavicola. In mezzo al fracasso metallico delle lamiere, John soffocò un’esclamazione strozzata.

In pochi istanti, tornò la calma. Una quiete quasi irreale, spezzata dal respiro pesante di suo marito.

Alice avvertì un dolore sordo alla cervicale, ma cercò di ignorarlo. La botta era stata violenta, ma nessuno di loro sembrava aver riportato gravi conseguenze.

“Non ti muovere, adesso me la vedo io con questo stronzo!” le ordinò John, con la voce deformata dalla rabbia. Aprì lo sportello con uno scatto d’ira e quando scese dall’auto cominciò a inveire contro lo sconosciuto che li aveva tamponati.

“Mi scusi, non so come sia potuto succedere… I freni non hanno funzionato…”

Alice fissò lo specchietto retrovisore. Lo sconosciuto era sceso dalla jeep e se ne stava di fronte al cofano danneggiato con aria sorpresa. Non aveva più di venticinque anni. Era biondo, occhi azzurri e molto meno robusto di suo marito. In teoria, John avrebbe potuto stenderlo con un pugno senza problemi. Da quando aveva ricominciato ad andare in palestra, sembrava tornato in forma come ai tempi dell’Università. A guardarli l’uno di fronte all’altro, i due uomini parevano quasi coetanei.

“Io dico che se chiamiamo la Polizia, il tuo alcol test sarà ben oltre il limite,” lo minacciò John.

Alice decise che era arrivata l’ora di intervenire. Con le ossa doloranti raccolse tutte le sue energie e scese anche lei dall’auto. Si avvicinò a suo marito e gli posò una mano sulla spalla, in uno di quei gesti dolci che non faceva da tempo.

“Ti prego, John, non vedi che il ragazzo è sobrio? Dopotutto, noi stiamo bene e i danni non sono poi così terribili.”

Mentre parlava, Alice aveva l’impressione che dalla gola le uscissero le parole di un’altra donna. Il ragazzo la fissò con i suoi occhi azzurri e le sorrise in segno di gratitudine. John inarcò le sopracciglia e socchiuse le palpebre per studiare meglio il volto del ragazzo e cercare di capire se stesse mentendo.

“Ci siamo già visti da qualche parte?” domandò perplesso.

“Non credo.”

“Eppure, mi sembra che lei abbia un’aria familiare,” insistette. “Mi faccia vedere un documento e finiamola qui. L’assicurazione penserà al resto.”

Il ragazzo annuì e si infilò per metà nella jeep, allungandosi fino al cruscotto per recuperare i documenti. Quando riemerse dall’abitacolo, nella mano destra stringeva una pistola.

“Ma che diavolo fa?” esclamò John, colto alla sprovvista.

“Credo che questa servirà di più a tua moglie,” disse lui con aria gelida.

John si voltò verso Alice, con aria confusa. Non capiva. Non riusciva a vedere.

“Te la ricordi la ragazza che hai ucciso, vero?” gridò il ragazzo.

Millicent…” sussurrò John, fissando impietrito gli occhi azzurri del ragazzo.

“Bene, vedo che hai ritrovato la memoria. E ti ricordi anche che mia sorella ti stava ricattando? Era l’unico modo per farti lasciare tua moglie. Lo so, non è stata una bella mossa, ma non meritava di morire per questo. C’era solo una cosa che non potevi sapere. Millicent aveva bussato alla porta di casa tua un mese prima di morire. Per fortuna che tua moglie è una donna intelligente. All’inizio non le aveva creduto, ma quando ha visto la foto sui giornali della ragazza ritrovata morta sui binari, ha capito che andare alla Polizia non era la scelta giusta.”

Quelle parole parvero riecheggiare nel silenzio, come se il ragazzo avesse esploso un colpo in aria.

John spostò lo sguardo verso Alice. Lei lo fissò senza battere ciglio. Una sera, mentre lui era in ospedale per il turno di notte, Millicent Andrews si era presentata a casa loro. Quando aveva suonato il campanello, le aveva detto una sola frase attraverso il battente della porta ancora chiusa.

“Suo marito la lascerà presto.”

Alice sapeva che era vero. Lo sentiva dentro di sé, come aveva sempre sentito che John la tradiva con altre donne. Ma anche quella volta aveva scelto di chiudere gli occhi. Era stata debole. Ricordò ancora il giorno in cui era andata al funerale di Millicent. Anche quel giorno c’era la nebbia. Quando aveva sentito Gabriel Andrews parlare di sua sorella con un groppo in gola, dentro di lei si era fatta largo una voce insopprimibile.

Quando lui era rimasto da solo, in piedi davanti alla bara ricoperta di fiori, gli si era avvicinata senza esitazione.

“So chi ha ucciso tua sorella,” gli aveva sussurrato.

Gabriel si era voltato di scatto, osservandola dalla testa ai piedi come se fosse un fantasma risorto dalla foschia dell’orrore. Gabriel sapeva che sua sorella non era mai stata una santa, ma non meritava quella fine. John doveva averle chiesto un ultimo incontro e aveva perso il controllo.

“La accompagnerò alla polizia,” le aveva risposto Gabriel.

“No, non credo sia questa la giusta condanna,” aveva sentenziato Alice.

Così, avevano organizzato tutto nei minimi dettagli. Quella mattina, Gabriel li aveva seguiti a poca distanza e quando si erano fermati come al solito al passaggio a livello, li aveva tamponati nell’unico momento e nell’unico luogo in cui nessuno li avrebbe visti.

Alice trattenne il fiato. Gabriel le porse la pistola. Lei afferrò il calcio di quell’arma con cui finalmente sarebbe stata libera. In lontananza, si udì lo sferragliare del treno in arrivo. La nebbia era un velo lattiginoso che li avvolgeva come un sudario di morte.

Alice premette il grilletto una sola volta.  John piombò al suolo con il volto deformato da una smorfia di dolore lancinante. Si accasciò a terra con una mano posata sul petto, come se volesse arginare il sangue che gli stava inzuppando la camicia.

Poi, guardò un’ultima volta sua moglie. Lei gli sorrise. Il piano era perfettamente riuscito. Del resto, suo marito le ripeteva sempre quanto fosse noiosamente prevedibile. Sapeva che questa volta di sicuro l’aveva sorpreso.

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