Grazie alla casa editrice inglese All Your Stories e alla direttrice editoriale Storm Grayson per aver scelto di inserire un altro mio racconto nello speciale di Febbraio 2025. In italiano era arrivata tra i vincitori del Premio Emozioni in Bianco e Nero 2011 – (Edizioni del Poggio) e pubblicata nell’antologia del premio. Per la stessa casa editrice inglese era uscito a Natale il racconto “Beyond the Gate of the Heart“.



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Racconto in italiano:
Seduti l’uno di fronte all’altra, i nostri sguardi s’incrociarono per un solo istante. Un momento fugace in cui per la prima volta la fragilità dell’amore mi apparve in tutta la sua brutalità. I tuoi occhi restarono muti. Le tue labbra immobili non spezzarono il velo di silenzio che accompagnava la notte scesa su di noi.
Il tavolo, ingombro di piatti e bicchieri, sbarrava la strada alla mia mano, che avrebbe voluto raggiungerti, aggrapparsi alle tue dita tremanti per sprofondare nell’abisso del dolore.
Infelici, ma uniti.
E, invece, mi accorsi che la sentenza ci aveva colto impreparati. La condanna di non poter avere figli aveva iniziato a trascinarci verso un tunnel senza via d’uscita. Mi sembrava di essere sull’orlo di un baratro senza fine e di osservare impotente il nostro amore giacere nelle sue oscure profondità, schiacciato, annientato, morto. In quel momento sapevo che tutti i tuoi sogni si erano miseramente infranti. Per un attimo, egoisticamente, desiderai che la colpa fosse tua. Un pensiero orribile, crudele, che nasceva dal bisogno di allentare il peso di quella soffocante verità.
Quando appoggiai istintivamente la mano sul mio ventre maledettamente piatto, percepii il tuo sguardo seguire i miei movimenti, lenti come in un sogno. Mi aggrappai alla mia stessa pelle, desiderando strappare tutto ciò che mi rendeva imperfetta. Quello che mi trasformava in una donna a metà. Un essere ibrido, inutile. A quel dolore lancinante si aggiungeva la consapevolezza di dover sacrificare il nostro amore. I progetti per il futuro e il sogno di formare una famiglia si erano frantumati contro un muro invalicabile.
«Non ci credo,» continuavi a ripetere, in un modo così ossessivo da spaventarmi. Nel profondo sapevo che l’amore incrollabile professato migliaia di volte al chiarore delle stelle, al caldo delle coperte o davanti all’altare, in un giorno che ormai sembrava troppo lontano, non sarebbe bastato.
E le settimane successive me ne diedero una triste conferma. Mi pareva di fluttuare in un limbo di rabbia, delusione, smarrimento. Il rancore verso me stessa m’impediva di compiere il primo passo verso di te. Talvolta il mio cuore era scosso da un impeto di delusione per il fatto che avevi scelto la strada del silenzio. Mi sentivo abbandonata, persa nel sentiero della vita. Mille parole nascevano nella mia mente per morire un istante dopo, quando la tua fuga frettolosa dopo colazione uccideva qualunque possibilità di dialogo.
Le parole ormai stramazzavano al suolo, aborti di promesse incompiute che non riuscivano a esprimere il senso d’impotenza che ci teneva lontani. Frasi, pensieri e vacui vocaboli si affollavano nel mio cervello nel vano tentativo di riuscire a descrivere l’inquietudine del cuore. Un cuore trafitto ogni giorno dal tuo sguardo distante, in cui si era spento ogni entusiasmo.
I nostri giorni divennero sterili come il mio grembo. Ormai solo pochi gesti meccanici scandivano le nostre ore. Pasti, lavoro, televisione, sonno agitato. Nessuno dei due aveva il coraggio di ammettere che il nostro amore si stava lentamente spegnendo. Non riuscivo a sopportare la nota di rimpianto che velava i tuoi occhi quando osservavi con dolorosa rassegnazione i bambini che giocavano al parco. Ogni gridolino di allegria di quelle creature si trasformava per noi in un’amara visione di ciò che non avremmo mai avuto.
A volte arrivavo a pentirmi di aver scelto un uomo così legato alla paternità. Se tu fossi stato come tutti quegli scapoli impenitenti, che sussultavano al solo pensiero di occuparsi di un figlio, mi sarei sentita più sollevata. Oscillavo tra questi pensieri assurdi e privi di senso, continuando a chiedermi perchè la tragedia avesse colpito proprio noi.
Il medico non mi aveva dato alcuna speranza. A dire la verità, qualche volta una vocina lontana, un lieve sussurro proveniente dai recessi del mio animo, m’incitava a seguire il sentiero della speranza. Solo un segno da parte tua avrebbe potuto spingermi ad ascoltarla. Un tuo gesto che, fortunatamente, non tardò ad arrivare.
Il nuovo millennio era ormai alle porte e, con la speranza di poterci liberare dei nostri tormenti, avevo accettato di trascorrere la serata del Capodanno con te, in compagnia dei nostri soliti amici. I volti sorridenti intorno a me e le immagini di festa alla televisione, però, annientavano il mio spirito già scoraggiato.
A un tratto, poco prima del fatidico conto alla rovescia, un profondo senso di vuoto mi colse di sorpresa. Nonostante fossi circondata da una decina di persone, mi ritrovavo, ancora una volta, ad affrontare i miei demoni completamente sola.
Per sfuggire all’atmosfera soffocante del salone mi affacciai al balcone, incurante del freddo, fingendo di aspettare i fuochi d’artificio che avrebbero squarciato il buio della notte. Mi accorsi, però, di non essere più sola. Sentii la tua mano calda posarsi sulle mie spalle gelide.
«Ti prenderai un raffreddore,» la tua voce gentile fu più piacevole di una carezza.
I nostri occhi s’incrociarono dopo lungo tempo e, finalmente, compresi che non ti eri ancora arreso, che credevi nella forza del nostro amore.
Mentre le tue labbra si posavano sulle mie, nel cielo brillarono i bagliori del nuovo millennio. In quell’attimo capii che l’unica luce che poteva guidare fuori dal tunnel della sofferenza era l’amore.
Ora che siamo usciti dalle profondità del dolore, vedo la piccola Irene dormire serenamente nel suo lettino, una creatura nata dall’amore più puro e profondo che esiste tra due persone. Quella notte, mentre guardavamo insieme le stelle, decidemmo di adottare una bellissima bambina.
Perché a volte l’amore è l’unico miracolo che può guarire il cuore.
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