Phillis Wheatley – The First Published Afro-American Poet – Tint Journal – Viviana De Cecco

Esce oggi su Tint Journal l’articolo che ho scritto riguardo alla prima poetessa/schiava Afro-Americana che a oggi è stata praticamente dimenticata. La sua storia commovente e non certo a lieto fine è veramente interessante dal punto di vista più umano che letterario.

Link Tint Journal: https://tintjournal.com/profile/phillis-wheatley-the-first-published-afro-american-poet

Phillis Wheatley.

Portata negli Stati Uniti dall’Africa come schiava in giovane età, Phillis Wheatley è diventata la prima poetessa afroamericana ad essere pubblicata. Ha lasciato un’importante eredità dietro di sé, ma la sua storia necessita anche di una riflessione critica. Questa recensione mira a celebrare i suoi successi letterari, evidenziando al contempo il potenziale che è stato sprecato.

Phillis Wheatley visse nel XVIII secolo, un periodo storico turbolento, in cui la ragione e la scienza diventarono il fulcro del pensiero filosofico-letterario e la rivoluzione per l’indipendenza americana portò alla liberazione dal dominio inglese e alle prime lotte contro la schiavitù.

Di certo, mentre a sette anni veniva deportata come schiava in un paese sconosciuto, a mille miglia di distanza dal villaggio africano in cui era nata, non avrebbe mai creduto che sarebbe diventata la prima poetessa della letteratura afro-americana, né che i bianchi l’avrebbero accettata nella loro società.

Questa poetessa, strappata dalle proprie radici contro la sua volontà, dimostrò un indubbio talento nella scrittura, ma non trovò mai il coraggio di lottare per affrancarsi realmente dalla sua condizione. Per questo, non possiamo considerare la sua ascesa letteraria sotto una luce esclusivamente positiva, né considerarla davvero un esempio anche per le generazioni nere americane o di tutto il mondo di oggi. Andando oltre le apparenze del suo successo, possiamo dire che la sua storia dimostra quale sia la differenza tra una libertà solo apparente e una libertà totale di pensiero e azione.

La bambina senza nome.

Non sappiamo con esattezza se Phillis sia nata in Senegal o in Gambia nel 1753, ma possiamo immaginare una nave piena di schiavi che, partita dalle coste africane nel 1761, sta viaggiando verso il porto di Boston. A bordo, schiavi uomini incatenati l’uno all’altro, donne e bambini lasciati nudi, al freddo e senza cibo, picchiati e vessati nei modi più crudeli. E tra quelle piccole innocenti creature, rapite dai loro villaggi e dalle famiglie d’origine da qualche spietato mercante di schiavi, c’era anche una bambina di sette anni, sola e indifesa di fronte a quell’orrore. Come tutti gli altri prigionieri, lei non capiva né sapeva parlare la lingua dei suoi aguzzini.

Sopravvissuta per miracolo a quel viaggio infernale, quando scese dalla nave fu venduta all’asta a una coppia di commercianti bianchi, John e Susan Wheatley, che la acquistarono per farne una (house slave) schiava di casa. La signora Susan, che stava invecchiando e aveva bisogno di una schiava più giovane rispetto a quelle che aveva già, intuì che quella bambina gracile e timida non le avrebbe dato alcun problema e che il suo carattere remissivo le avrebbe permesso di controllarla sia fisicamente che mentalmente.

Quando Susan, che in città era apprezzata per la sua cultura e per il suo salotto alla moda, si accorse che quella bambina possedeva una vivida intelligenza, le permise di assistere alle lezioni che lei stessa impartiva alle figlie. Lei imparò subito l’inglese, sia scritto che orale, riuscendo in pochi mesi a leggere la Bibbia. Nataniel, il figlio maggiore dei Wheatley, venne nominato dalla madre suo tutore e le insegnò materie come latino, storia, geografia, astronomia e religione.

Poco tempo dopo, la bambina senza nome fu anche battezzata e diventò Phillis Wheatley. Il primo era il nome della nave negriera su cui era arrivata dall’Africa, il secondo il cognome dei suoi padroni, che a quel punto stavano già diventando proprietari non solo del suo corpo ma anche della sua mente.

L’illusione di non essere schiava.

Per lei fu senza dubbio una conquista importante imparare a leggere e scrivere in un secolo in cui agli schiavi non era permesso di erudirsi e consigliato ai padroni di lasciarli nella loro ignoranza. Comprendere le parole e la cultura di chi le stava intorno, di sicuro la fece sentire meno esclusa da quella società in cui era considerata un essere inferiore.

Tuttavia, gli insegnamenti dei Wheatley non si possono ritenere un atto di generosità. I suoi padroni la educarono in modo che lei imparasse a pensare come i Bianchi. Era stato molto più facile sradicare il background culturale dalla mente di una bambina in età evolutiva rispetto a quella di una donna più adulta.

Grazie alle sue qualità, Phillis venne considerata superiore agli altri schiavi e le venne impedito di svolgere le loro stesse faticose mansioni. Lei si trovò catapultata all’improvviso nei salotti dei Wheatley a prendere il tè con le altre signore e ragazze della buona società, trasformando la sua intelligenza in una sorta di strano fenomeno che la signora Susan mostrava in pubblico come se fosse a una fiera della vanità.

Dietro la maschera di gentilezza della padrona, infatti, si celava un auto-compiacimento del suo potere di donna bianca, che era riuscita a esercitare un controllo assoluto sulla sua schiava.

Durante le riunioni sociali, le altre ragazze si divertivano ad ascoltare i racconti di Phillis sui luoghi che aveva visitato. Tuttavia, benché partecipasse agli eventi sociali con la famiglia dei suoi padroni, non sarebbe mai stata alla loro altezza.

Accettò passivamente il suo ruolo e il loro controllo, adagiandosi in un falso senso di appartenenza alla cerchia dei Bianchi, imparando a distinguersi dagli altri schiavi neri pur sempre con la consepevolezza che il suo posto non era comunque sia tra i Bianchi. Così, scelse di stare dalla parte della signora Wheatley, una donna bianca che si credeva superiore a una donna nera e che, con il suo finto moralismo, non la aiutò a emanciparsi neppure dal punto di vista femminile.

Un talento sotto accusa.

Una nota positiva può essere riscontrata nel fatto che Phillis, quando cominciò a comporre delle poesie, non usò mai uno pseudonimo, come fecero ad esempio le sorelle Brontë quasi un secolo dopo.

Nel 1722, quando alcuni intellettuali di Boston lessero i suoi versi, misero in dubbio le sue capacità, accusandola di non essere lei l’autrice, Phillis si difese in Tribunale e scelse  volontariamente di non nascondere la sua intelligenza, convincendo tutti quegli uomini che la guardavano con sospetto che le sue poesie erano frutto della sua mente brillante.

Da questo lato, fu decisamente una vittoria contro la mentalità del Secolo dei Lumi che, nonostante ponesse al centro di tutto la ragione per sradicare le superstizioni e credenze senza fondamento scientifico, era ancora vittima di pensieri retrogradi che consideravano le donne, soprattutto nere, degli esseri senza alcun tipo di capacità intellettuale.

Phillis ne uscì a testa alta, ma tutti gli editori di Boston si rifiutarono di pubblicare le sue poesie. I Wheatley non si scoraggiarono e nel 1773 Nathaniel condusse la loro pupilla a Londra, dove un’amica di sua madre, la contessa di Huntingdon, finanziò la pubblicazione del primo libro della giovane schiava.

La sua capacità nella scrittura le diede la fama, ma in realtà la sua condizione restò comunque quella di una donna che consapevolmente si era sottomessa ai valori e alla mentalità di una cultura che voleva incatenarla sotto tutti i punti di vista.

Il successo e la poetica.

Phillis aveva ventun anni quando il suo libro “Poems on Various Subjets, Religious And Moral” diventò un successo, sia in Europa che negli Stati Uniti, ottenendo critiche favorevoli e apprezzamenti, sia da politici come George Washington o l’ammiraglio e corsaro John Paul Johns, considerato il padre della Marina americana, sia da scrittori come Voltaire.

Le sue poesie recano pochissime tracce della sua infanzia nel villaggio in Africa, come se quei primi ricordi della sua vita fossero stati cancellati del tutto, né della vita degli schiavi neri che lavoravano con lei a casa Wheatley. Phillis non descrisse mai come vivevano gli altri domestici, né si scagliò apertamente contro i terribili soprusi che venivano inflitti loro dai padroni.

Solo nella poesia “On Being Brought from Africa to America” parlò della sua deportazione, arrivando però a paragonare il suo stesso popolo a Caino, il peccatore per eccellenza, e a ringraziare il Signore per averla salvata da una terra in cui non avrebbe avuto alcun futuro. Cancellando e rinnegando le sue origini, Phillis contribuì a diventare doppiamente schiava dei suoi padroni.

Attraverso un linguaggio formale che non si discosta dai canoni settecenteschi di armonia, perfezione e struttura ordinata, affronta tematiche sulla morale, sulla religione cristiana, sull’arte, sull’immaginazione e sullo studio. Fa spesso appello alle Muse, antiche protettrici delle arti, ma molti versi invocano l’aiuto di Dio, che diventa il Salvatore che l’ha condotta verso la redenzione.

Nel caso della poesia “To the University of Cambridge” è emblematico notare come sottolinei l’importanza dello studio e della conoscenza, che l’ha strappata a un mondo di oscura ignoranza. Coloro che studiano, devono saper sfruttare quello che definisce un “privilegio”, in modo da elevare il loro spirito rispetto a quelle ideologie che i bianchi devono estirpare per condurre i neri verso la strada che ritengono più “giusta.”

Phillis scrisse in prevalenza elegie, componimenti tipici della letteratura classica, in cui lodava sia personaggi influenti dell’epoca, che reverendi, gentiluomini, capitani dell’esercito e alcune Ladies che aveva conosciuto in Inghilterra.

Nella poesia “A Farewell to America”, che scrisse in occasione del suo viaggio a Londra, si coglie lo spirito affranto con cui Phillis lascia quella terra che ormai considera la sua nuova patria, dimenticando così le sue vere origini.

Il prezzo della libertà.

Dopo l’eccezionale successo del suo libro, quando tornò a Boston, i Wheatley le concessero la libertà, ma lei decise di vivere con loro fino alla morte di John Wheatley. In seguito, dopo aver sposato John Peters, un nero libero che lavorava come droghiere, due dei suoi tre figli morirono in tenera età. Dopo questo tragico evento, il marito venne anche imprigionato per debiti e Phillis fu costretta a cercarsi di nuovo un impiego come domestica e visse in povertà fino al 1784, quando morì a soli 31 anni insieme al suo terzo figlio in una piccola pensione di Boston. Poco prima di morire aveva scritto un secondo libro di poesie, che nessuno volle pubblicare.

La sua storia può insegnarci che la vera libertà deve portare a un’auto-affermazione che miri a esprimere le proprie idee e di diffondere le tradizioni della propria cultura senza essere vittime di pregiudizi.

Fonti bibliografiche:

https://poets.org/poet/phillis-wheatley

https://www.masshist.org/features/endofslavery/wheatley

https://interestingliterature.com/2022/03/best-phillis-wheatley-poems

Smith, Eleanor. “Phillis Wheatley: A Black Perspective.” The Journal of Negro Education 43, no. 3 (1974): 401–7. https://doi.org/10.2307/2966531

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